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La guerra dei cookie che divide l’Europa

Se il codice della strada fosse stato scritto all’epoca di calessi e carrozze a cavallo, tutti sentiremmo l’urgenza di aggiornarlo al traffico dei giorni nostri, fatto di automobili, furgoni, moto e motorini. E lo stesso, fuor di metafora, sta succedendo con la regole dell’Unione europea per la protezione delle comunicazioni elettroniche. La direttiva oggi in vigore risale a un 2002. Ossia a un mondo in cui l’iPhone era ancora nella mente di Steve Jobs, Facebook di là da venire (Mark Zuckerberg ha fondato la società con gli altri compagni di college nel 2004) e Amazon raggiungeva il primo attivo dopo otto anni di vendite online.

Eppure la bozza del regolamento ePrivacy, che deve aggiornare le norme emesse diciassette anni fa, langue dal 2017, dopo che la Commissione europea ha licenziato la sua proposta il 10 gennaio. Il pacchetto di legge vaga di scrivania in scrivania, strattonato dagli interessi di governi, aziende e lobby. L’ePrivacy tocca nervi scoperti: la profilazione degli utenti in internet attraverso cookie e sistemi di tracciamento, lo sviluppo della domotica e del 5G, il marketing e la pubblicità online. Per questo rischia di essere azzoppata alla fine della lenta marcia, perché non è scontato che il testo, ora all’esame degli Stati membri riuniti nel Consiglio dell’Unione europea, riescano a trovare un accordo.

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